Riporto questo articolo/post che ho pubblicato in anteprima sul sito web www.newel.it dedicato all’azienda Newel.
Il 23 luglio di quarant’anni fa veniva presentato al mondo l’Amiga 1000. Era il 1985 e per chi, come me, arrivava dal mitico Commodore 64, fu come compiere un balzo generazionale gigantesco, come passare di colpo da una bicicletta ad una moto super accessoriata, o qualcosa ancora di più grande.
Fino a quel momento, avevo passato anni a giocare con i titoli sportivi e di simulazione sul C64: ricordo con emozione Revs+ del leggendario Geoff Crammond, al punto da costruirmi un volante in legno collegato a una paddle smontata per rendere più realistica l’esperienza di guida. Oppure Space Shuttle: A Journey into Space della Activision, che giocavo coricato per terra, con il monitor piazzato su una sedia rovesciata, per simulare la posizione degli astronauti al lancio. Senza dimenticare i primi programmi in Basic, dalla famosa mongolfiera descritta sul manuale d’uso per imparare a utilizzare gli Sprite, fino a programmi più complessi come il simulatore di tabellone elettronico che utilizzavo per le mie partite a Subbuteo.
Poi arrivò lui, il mio primo Amiga: non il 1000 dei miei sogni — che avevo visto in un volantino promozionale della Commodore e consumato con gli occhi — ma un bellissimo Amiga 500, con espansione e modulatore RF A520. Una meraviglia. Con i suoi dischetti da 3,5 pollici, il Workbench e l’interfaccia a finestre, sembrava davvero un computer giunto da un altro pianeta. La versione che mi fu regalata era quella contenente “Lo scrigno del software”, distribuito dalla C.T.O., con programmi come Superbase, Logistix, The music studio e giochi vari.

Poi con il tempo arrivarono i giochi quelli seri. Su tutti ricordo con particolare piacere Defender of the Crown della Cinemaware e i due Sensible Soccer e Kick off 2, solo per citarne alcuni. Certamente in quegli anni uscirono pietre miliari per la storia del videogame: Another World, Monkey Island 2: LeChuck’s Revenge… perderei troppo tempo per elencarli tutti.
Ma Amiga non era solo una macchina per giocare. Si rivelò un nuovo modo di usare un computer: produttivo, creativo, con possibilità impensabili fino a pochi mesi prima. In quel periodo iniziammo anche a sperimentare le prime connessioni telefoniche: con un accoppiatore acustico ci collegavamo alla rete Itapac chiamando un numero telefonico che poi richiamava in automatico per farci accedere alla rete: chattavamo con utenti da tutto il mondo. Ricordo ancora oggi Liliana, da Buenos Aires.
Marco, il mio amico super esperto, sviluppava software direttamente in linguaggio macchina: scrisse una routine che simulava una strada che scorreva velocemente e realizzata dal computer in tempo reale: un “esercizio” che lo portò qualche anno dopo a lavorare negli USA per la Electronic Arts.
Amiga fu anche la mia sala di registrazione personale. Con Oktalyzer, Bars and Pipes e Music-X, insieme alla mia Korg X3, componevo le mie musiche, sperimentando con suoni e arrangiamenti. Era tutto un mondo da esplorare, una libertà creativa che solo oggi riesco ad apprezzare fino in fondo.
Quando poi andai a lavorare in Newel, mi furono prestati tutti i modelli Amiga disponibili in quelli anni. Sulla mia scrivania, collegate con vari switch “artigianali” e adattatori della Cabletronics, tutte le versioni dell’Amiga — espanse o meno e con diversi Kickstart — per testare la compatibilità dei giochi che arrivavano in negozio. Ma Amiga fu anche un compagno di lavoro: diventò il computer per la gestione delle riparazioni e poi delle spedizioni di Newel (nella foto sono io al lavoro), grazie a un gestionale realizzato con Superbase professional da alcuni nostri colleghi.

Poi arrivarono i primi PC compatibili, l’MS-DOS, Windows, e tutto cambiò. Anche solo per costi ma soprattutto per questioni tecniche legate all’interfacciamento in rete. Ma questa è un’altra storia.
L’utilizzo di queste macchine, per la mia generazione, non ha significato soltanto divertirsi o sperimentare nuovi software: ci ha insegnato un modo di pensare.
Con l’Amiga, come già con il Commodore 64, abbiamo imparato a guardare oltre l’interfaccia, a chiederci cosa ci fosse “dietro”, a trovare soluzioni alternative quando qualcosa non funzionava. E se qualcosa mancava, provavamo a crearla. È nato così questa sorta di “approccio analitico“, quasi da sistemisti, che ancora oggi caratterizza il mio modo di affrontare i problemi anche in ambiti completamente diversi.
Che si tratti di marketing o di organizzazione aziendale, mi ritrovo spesso a scomporre un problema come se fosse un bug e un problema tecnico da isolare, analizzare e risolvere. Un metodo ereditato da quegli anni straordinari davanti a uno schermo a fosfori verdi o ad una finestra colorata.
Perché ai tempi tutto era lineare, e questa linearità ci permetteva di risalire ai problemi con il ragionamento. Cosa che oggi, le nuove generazioni fanno fatica ad applicare, abituate a sistemi più chiusi, stratificati e spesso opachi, dove la filosofia di fondo è “non mi interessa sapere come e perché, ma ho bisogno tutto e subito”.
Oggi, a quarant’anni di distanza, resta la consapevolezza di aver vissuto una stagione irripetibile, in cui l’informatica era ancora magia, scoperta, passione. E in quella magia, l’Amiga ha avuto un ruolo da protagonista assoluto.
Buon compleanno Amiga. E grazie di tutto.